Si tratta di don Antonio, l'”expara” citato nella causa contro l’ex presidente del Consiglio italiano

Lo pseudonimo don Antonio è stato condannato a otto anni di reclusione per ordine della Corte di Cassazione

Foto: file

L’ex presidente del Consiglio italiano Massimo D’Alema è indagato dalla Procura di Napoli (sud) per i suoi tentativi di mediare la vendita di diverse navi da guerra e aerei da combattimento di due società italiane al governo colombiano. Negli affari, secondo il “Corriere della Sera”, c’è una presunta partecipazione di importanti politici durante il regno di Iván Duque oltre all’ex capitano dell’esercito ed ex paramilitare Edgar Ignacio Fierro Flórez, alias Don Antonio, un uomo che è stato fondamentale per l’espansione del gruppo criminale nei primi anni 2000.

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Don Antonio è stato condannato a otto anni di reclusione per ordinanza della Corte di Cassazione e nel 2014 ha riconquistato la libertà, diventando uno dei primi leader fermare che ha riacquistato la sua libertà. Ex capitano dell’esercito e braccio destro dell’ex capo paramilitare Jorge 40, è ritenuto responsabile della barbarie subita da 1.501 vittime, quando le forze di autodifesa del blocco settentrionale hanno preso il controllo della costa caraibica, tra gli anni ’90 e l’inizio. anni 2000. Gli ex paramilitari devono essere ritenuti responsabili dei reati di sparizione, omicidio, tortura, confisca di beni, minacce, trasferimenti forzati, furto, esproprio, sequestro di persona e abrogazione del giusto processo.

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Anche se nel 2014, quasi un decennio dopo essere tornato in piazza in completa libertà, Don Antonio ha chiesto scusa ad alcune delle vittime dei suoi crimini; una recente sentenza della Suprema Corte (aprile 2023) che gli ha ordinato di compiere un nuovo atto di grazia per i reati da lui ordinati e autorizzati. Inoltre, ha ribadito, come dimostra la prima condanna del tribunale del 2014, che deve istruirsi sui diritti umani per più di 100 ore. Sebbene offrire scuse sia stato difficile per lui, il vantaggio che ha ricevuto quasi 20 anni fa quando è entrato a far parte di Giustizia e Pace dipendeva dal rispetto degli ordini del tribunale.

Don Antonio è anche noto negli archivi giudiziari come la persona che gestiva le finanze dell’AUC Blocco del Nord al computer, che è stato fondamentale per condurre vari procedimenti contro politici e uomini d’affari alleati con la struttura paramilitare di Jorge 40 e i fratelli Castaño nel fine anni ’90 e primi anni 2000. Jorge Visbal Martelo, ex senatore del partito U e diplomatico durante il governo di Álvaro Uribe ed ex rettore dell’Università autonoma di Barranquilla, era responsabile del laptop. Silvia Getti.

Affari italo-colombiani

Le vicende a cui dovrebbe prendere parte don Antonio consistono in un’operazione che dovrebbe dividere 80 milioni di euro con altri partecipanti alla mediazione guidata dall’ex ministro D’Alema. Ciò che D’Alema avrebbe fatto sarebbe stato contattare la Colombia con lo studio Robert Allen, uno studio legale americano che avrebbe avuto il compito di legalizzare e amministrare i contratti per l’acquisto di armi moderne per le Forze Armate dalle società italiane Leonardo e Finmecanica.

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L’inchiesta è stata condivisa anche tramite l’account Twitter del presidente Gustavo Petro, che ha chiesto alla Procura colombiana di indagare sui fatti. La richiesta del presidente si riferisce al fatto che i media italiani hanno anche accennato al possibile rapporto tra Marta Lucía Ramírez, ministro degli Esteri e vicepresidente della Colombia, Germán Monroy Ramírez e Francisco Joya Prieto, all’epoca delegato della Commissione del Senato colombiano di affari . Le accuse sono state smentite dall’ex vicepresidente e poi ministro della Difesa Diego Molano, il quale insiste sul fatto che lo stesso governo colombiano abbia avvertito l’Italia delle irregolarità.

In questo modo, Don Antonio e un altro ex paramilitare, Óscar José Ospino Pacheco, alias Tolemaida, avrebbero partecipato a una squadra di lavoro colombiana che fungeva da intermediario per acquisti di materiale bellico. Nella stessa pubblicazione di ieri sul “Corriere della Sera”, tra gli altri Alessandro Profumo, ex consigliere di direzione di Leonardo, e Giuseppe Giordo, ex direttore generale della divisione navi da guerra di Fincantieri. Nel frattempo sono state effettuate diverse perquisizioni presso la sede della società e l’abitazione degli inquirenti.

Il problema è che le relazioni d’affari non si fanno tra paesi ma tra individui. Si trattava di intermediari italiani nella compravendita di armi Francesco Amato ed Emanuele Caruso, accusati da un tribunale napoletano di falsificazione di documenti, frode e furto d’identità. I due lavoravano come consulenti di cooperazione internazionale per il Ministero degli Affari Esteri colombiano e riuscirono a contattare D’Alema, il quale, per la sua ampia e illustre carriera politica, agiva da mediatore informale nei suoi rapporti con Profumo e Giordocomo, secondo il “Corriere della Sera.” .

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Emiliano Brichese

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