VoiLa nostra barca si trova nel torbido fiume verde. Ci siamo ancorati nelle calme acque del Po, ancorati a poppa, ormeggiati tra i bianchi salici. Ci siamo seduti lì senza una parola, io e mio figlio di sette anni, in un cielo di soffici nuvole e un sole bianco latte, davanti a lui: le punte dei nostri bastoncini. Le loro funi tese fino in fondo, attraversarono cinque metri di gocce di piombo; sospesi un metro dietro, appesi per la base della coda, due pergole, che picchiettavano sul molo nella foschia mattutina. Tagliamo la testa con le forbici in modo che il pesce esca, sostenuto dalla sua vescica natatoria, sporga leggermente dai cespugli. Grattiamo i loro lati verde argenteo tre volte su ciascun lato per fare in modo che il loro profumo attiri i ladri.
Ora non gli resta che dare un morso: il nostro primo lucioperca.
Questa è la nostra prima stagione di pesca. Mio figlio desiderava da tempo pescare nel fiume fuori dalla nostra porta. Ma avevo perso la mia licenza di pesca 20 anni fa, e mi ci è voluto un po’ per raccogliere tutti i documenti: una copia del certificato di prova dell’associazione statale per la pesca sportiva dello Schleswig-Holstein, un permesso di pesca dell’Agenzia per l’ambiente di Regensburg, un permesso di pesca annuale licenza della cooperativa Pesca comune di Winzer (Alto Danubio).
Da allora nulla si è fermato.
“Oggi andiamo a pescare?” Lo chiedeva ogni giorno. Niente aveva mai affascinato il ragazzo in questo modo: pescare, pescare, pescare.
La prima volta, a gennaio, le mani si sono intorpidite: niente.
A febbraio: il primo pesce, il ghiozzo, lungo un dito.
A marzo: prima parte, grosso cavedano.
Giugno: un bel naso all’altezza del suo nome.
A luglio, con il papà della sua amica, una sensazione: anguilla, grande come un braccio e mezzo piede, affumicata, mmh.
A settembre, quando il ragazzo iniziò la scuola, non sapeva né leggere né scrivere, ma sapeva tutto di pesi a botte e piattaforme galleggianti, pesi da fonderia e capi d’acciaio, guadini per pali e argini. Triotto, scardola, aspide, pesce persico, pesce gatto: attirano tutti la nostra attenzione. Solo un no: lucioperca.
Occhio leggendario
Levigatrici lucioperche, trespolo supremo, ladro profondo. Corpo snello e forte, strisce scure sui lati di colore verde dorato. Pinna dorsale bipartita, anteriore piumata come la cresta di un nibbio. La testa è appuntita, la bocca è profondamente biforcuta con lunghi “denti di cane” come li chiamano i pescatori. Sopra: il suo leggendario ‘occhio di vetro’, anche se non lo abbiamo mai saputo. Non l’abbiamo mai visto.
Per questo adesso siamo qui, nel delta del Po, a sud di Venezia. Ampio, verde e veloce, il fiume si snoda attraverso la campagna nell’ultimo chilometro prima della foce, portando con sé legni e tutti i suoi tronchi. I piccioni si riversano dalle cime spoglie degli alberi, i cormorani saltano sui pergolati. Sul nostro Lago Arcobaleno, tagliato fuori dal corso d’acqua principale, un airone si erge su una chiatta arrugginita, immobile e paziente. Abbiamo sentito il rumore degli aspidi cacciatori, le grida di combattimento delle cicogne e abbiamo fissato le punte dei nostri bastoni. E aspetta.
E aspetta.
E aspetta.
C’è qualcosa? Il ragazzo si sporse in avanti, piegò la testa di lato, mirando all’estremità della fila. Ma no, niente. Solo la barca oscilla leggermente, facendo muovere le funi.
Ground Bait: questo è un metodo per catturare il walleye. Ne abbiamo provati altri due il giorno prima, con Andy. Andreas Gutsch, Austria: Da bambino voleva solo andare a pescare. È venuto qui per la prima volta a metà degli anni ’90, all’inizio degli anni ’20 e ha catturato pesci più grandi e più che altrove. Compra una fornace abbandonata sul fiume e la trasforma in “Andy’s Waller Camp”: pesce, pesce, pesce.
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