Realizzato a Roma alla fine del 1817 da Rossini che era già in catene, quell’anno, Cenerentola nella stessa città, La Gazza Ladra a Milano e Armida a Napoli, Adelaide in Borgogna rimane, a differenza del precedente, raro. L’opera ebbe poco successo e prole in quel periodo, e ci volle più di un secolo e mezzo per tornare in scena: prima al Martina Franca, nel 1984, poi a Pesaro nel 2011.
Ispirato a vicende storiche dell’Alto Medioevo, questo libro evoca i tormenti politici e romantici di Adelaide, vedova Lotario (Re d’Italia) e futura Santa Adelaide. Voluto da Adelberto, figlio di Berengario che vuole reclamare il suo trono, preferisce affidare il suo destino a Ottone, imperatore di Germania, che è innamorato di lei e che anche lei amerà.
Un altro fallimento
Scritto in uno stile gradevole e completamente di primo grado, il libretto di Giovanni Schmidt non è certo il più orecchiabile, ma non l’unico. Ed è la sfida di un festival come Pesaro, completamente dedicato alla formazione di un singolo compositore, riuscire a dare attualità anche a opere meno “facili” come questa. Pier’Alli non si è convinto giocando la carta di prim’ordine durante la sua prima produzione nel 2011, il festival questa volta ha affidato il lavoro ad Arnaud Bernard, che era stato accolto da ORW lo scorso aprile per Adriana Lecouvreur : ma purtroppo nuovo fallimento.
Invocando alla rinfusa, con tono di intenti un po’ banale, la famosa “distanza di Brecht” e il desiderio di abbattere la non meno celebre “quarta parete”, il francese non trova nulla da raccontare sul tragico destino della santa regina, se non per … non parlarne . E raccontare, piuttosto, dietro le quinte, dietro le quinte, gli intrighi e i fallimenti di uno spettacolo teatrale i cui protagonisti sono vestiti solo a metà con i loro costumi d’epoca: il ritorno al passato del romanzo tenorile ripreso dal soprano mentre suona con una giovane direttrice di scena, i capricci della contralto che si rifiutava di indossare l’armatura per cui era stata concepita, la rude indifferenza di solisti e macchinisti che si consultavano al cellulare invece di ascoltare il canto della prima donna, comparse in ritardo, direttori nervosi e instancabili assistenti…
Perché portare alla luce una rara tragedia se non altro per fare del ridicolo un pretesto?
Questa Mise en abyme, ovviamente eseguita con impeccabile costanza e reale maestria, lascia non solo una dolorosa sensazione di stanchezza (già vista mille volte), ma una distrazione al limite della rabbia. Perché portare alla luce una rara tragedia se non altro per fare del ridicolo un pretesto? Perché affidare l’opera a un regista che, fin dall’inizio, ha dichiarato di non credere per un attimo all’opera? Come si fa a rendere un personaggio commovente costretto a diventare istrionico (forse per rendere ancora più divertente la distanza tra la loro espressione ingenua e il cinismo del loro trattamento contemporaneo) e che viene costantemente ignorato o ridicolizzato dagli altri membri?
Una distribuzione quasi ideale
Siamo sempre più endemici che Pesaro abbia riunito cantanti di primo piano quasi ideali che danno tutti la propria anima e il proprio corpo, nonostante questo stato schizofrenico. Varduhi Abrahamyan presta a Ottone un basso smagliante e una vera nobiltà, mentre Olga Peretyatko riesce quasi a sopraffare la sua Adelaide: rotonda e piena, la voce del soprano russo che si dispiega qui al Festival è sbocciata, ma senza perdere in vivacità e consistenza. Riccardo Fassi è stato il perfetto Berengario, mentre René Barbera, dopo aver dato il massimo nel primo tempo, ha ispirato il pubblico con Grida o naturala sua seconda aria maestosa.
Notevole anche la direzione musicale di Francesco Lanzillotta, recentemente apprezzato a La Monnaie nel progetto bastardo! : alla testa dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, il direttore italiano conferisce alla serata un’eleganza e un’intensità che smentisce il più possibile le goffe banalità del soggetto scenico.
- A Pesaro, Vitrifrigo Arena, il 16, 19 e 22 agosto. Informazioni. : www.rossinioperafestival.it.
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