Quando Alberto Moravia ed Elsa Morante incontrarono TS Eliot a Londra

Alberto Moravia è uno di quegli scrittori che ti ricordano sempre. Ha scritto talmente tanto, nei generi più diversi (articoli, romanzi, racconti, diari di viaggio, ecc.) che non si può contare il numero di volumi inediti, testi sparsi, ripubblicati e ritradotti. Per non parlare delle retrospettive di film tratti dai suoi romanzi, come quelle in partenza al cinema di Christine a Parigi il 5 aprile (la retrospettiva permette anche di vedere alcuni dei film preferiti dell’autrice). Genio versatile, spietato osservatore della politica e dei costumi, Moravia era affascinato dalla coppia che formò con la grande scrittrice del suo tempo, Elsa Morante (quest’ultima prese rapidamente tangenti mentre Alberto continuava, nell’arco di quasi quarant’anni). anni, per scrivergli). Un confronto più che un amore, per René de Ceccatty, presentatore, traduttore e soprattutto grande specialista di Moravia: la terribile gelosia di Elsa, il suo carattere oscuro, si aggiungono alle loro diverse origini (viene da un ambiente più popolare e, quando Alberto lo incontra , “assolutamente affamato”), costituisce il sottotesto di una relazione i cui vulcanici antecedenti seguiamo, a posteriori, nelle lettere che le invia.

Ne “L’immortale”, è un altro moravo che si offre a farsi leggere: brillante, curioso, veloce, spiega lì, nel testo da lui pubblicato su un quotidiano italiano, una storia venata di ironia, come una delle feste in cui si avvicinò a una donna, credendo che conoscesse bene Joyce, quando quest’ultima, non avendo mai conosciuto lo scrittore irlandese, disse che era, invece, vicina a Modigliani. Nello stralcio che stiamo per leggere, apparso sul “Corriere della Sera” del 27 settembre 1981, Moravia descrive una visita che fece, accompagnato da Elsa Morante, al suo poeta inglese preferito: il severo TS Eliot…

Didier Jacob

Il conformista, Romano, Disobbedienza, Ciociara, di Alberto Moravia, Libri, 1152 p., 32 euro. Dello stesso autore con lo stesso editore, eternotradotto dall’italiano e presentato da René de Ceccatty, 340 p., 22,90 euro. Quando verrai, sarò quasi felicea cura e preceduto da Alessandra Grandelis, 245 p., 20 euro (in libreria dal 6 aprile).

“Nel 1946 un’organizzazione culturale britannica invitò Eugenio Montale, Elsa Morante ed io a vivere brevemente in Inghilterra. La guerra è appena finita; troviamo tracce significative dei suoi limiti e confini.

Ricordo di aver pranzato alla Chapline in un ristorante londinese. Come in “Gold Rush”, ci viene offerto un pasto immaginario: due serene cameriere in uniforme, avanzando solennemente tra velluti, colonne, dorature e specchi, ci presentano su un grande vassoio una “carcassa” di un’anatra all’arancia costituito da una sola fetta trasparente.

Dopo questo pasto simbolico, ci siamo affrettati in un ristorante greco dove ci è stato servito un pasto abbondante, il principale contenente però un certo uovo in polvere che, a quel tempo, aveva fama, a Londra, di provocare, se assaggiato. , cecità temporanea.

Il soggiorno è stato comunque molto piacevole. Montale è ferocemente gay; la sua allegria gli faceva davvero piacere la mania inglesesminuire, o “minimizzazione”, che peraltro gli sembrava una tendenza originaria e naturale. Altro segno di giocosità, i suoi frequenti tentativi di vocalizzazione con la sua voce baritonale, come, in anni ormai remoti, l’avevo sentito una volta al Caffè delle Giubbe Rosse di Firenze.

“Eliot assomiglia molto a un vescovo anglicano”

Montale è il poeta italiano vivente che più amo e ammiro. Accanto a lui, con mia ammirazione, c’è un poeta straniero contemporaneo: Thomas Stearns Eliot. Questa ammirazione parallela trova la sua ragione in una certa somiglianza che non ho potuto fare a meno di notare nel contenuto originale dei due poeti. Entrambi hanno anticipato la visione del mondo esistenzialista che ora, in questo dopoguerra, trionfa. Entrambi hanno espresso un comune senso di tristezza per il crollo dei valori causato dalle stragi della prima guerra mondiale. Infine, penso che entrambi rappresentino la fine della società occidentale. Diverso, naturalmente, il background storico dei due poeti: dietro Montale c’è l’indifferenza degli stoici verso il Mediterraneo; dietro Eliot, il dolore religioso del Nord.

La società in cui Eliot si trova a vivere è, cosmopolita e potente, l’Inghilterra imperiale; al contrario, non c’è nulla di cosmopolita, potente e imperiale nella borghesia italiana di cui, in un certo senso, Montale è sempre stato fiero.

Per tutti questi motivi, sono stato felice di apprendere che, tra i punti salienti del nostro programma di inglese, c’era una visita a Eliot. Questi, dunque, sono i due Dioscuri della moderna poesia europea riuniti davanti ai miei occhi. Questi sono i due poeti che amo di più, uno accanto all’altro, come in una foto di famiglia.

Eliot ci ha detto che ci avrebbe ricevuto un pomeriggio, a un numero di Faber & Faber, di cui era copresidente. Lo abbiamo trovato nel tipico ufficio di una piccola casa editrice, con pile, montagne di libri disordinati dietro la scrivania, disseminati anche di libri e carte. Eliot somigliava molto a un vescovo anglicano, sia per il suo comportamento clericale che per il suo aspetto fisico angosciato e austero. Posso solo dire di lui, almeno in questa occasione, quanto ha detto di sé in un arguto autoritratto che così inizia: “Che spiacevole incontrare il signor Eliot.” Sì, l’incontro con Eliot quel pomeriggio non fu piacevole. Elsa Morante ed io restammo in silenzio; Montale si limita a come lo chiamano gli inglesi chiacchiere, cioè “chiacchiere”, accompagnandolo, ovviamente, nel suo tono curioso e abituale, e si potrebbe dire codificato; Per quanto riguarda Eliot, per citare una delle sue famose poesie, “Serve il tè ai suoi amici”. A proposito, i due poeti hanno parlato di poesia? Assolutamente no ! Per quello che si sono detti, potevano essere due “dirigenti” come si dice, per cortesia: Eliot poteva essere un direttore di banca, Montale un ingegnere o un medico.

Resta il fatto, che per me è il più importante, che due dei miei poeti preferiti si sono incontrati. Questo fatto mi ha suggerito una serie di pensieri, perché la loro conversazione era assonnata, discreta.

La prima è che Eliot e Montale incorporano anche idee che ho in testa da molto tempo. Nasce da una stupefacente e sospetta delusione che non posso fare a meno di provare ogni volta che incontro un personaggio che, per un motivo o per l’altro, è quasi sempre letterario (d’altronde mi occupo solo di letterati) che ammiro sinceramente. Questa sensazione di delusione può essere riassunta in questa nota, banale esclamazione: “Ma sembrano tutti gli altri!” C’è, in questa esclamazione, l’ingenuità di un ammiratore; ma anche, forse, qualcosa di più, nel caso particolare di Eliot e Montale, frutto di osservazione reale. Che si può tradurre così: “È possibile che un poeta non mostri affatto di essere un poeta?”

Guardavo Eliot, con la sua furba faccia da ecclesiastico, Montale, con i suoi capelli folti e ondulati che gli cominciavano in mezzo alla fronte, con i suoi occhi azzurri dolci e un po’ pazzi, con un naso aquilino nella bocca spessa; e mi è venuta un’idea, per così dire, “bifrontale”.

L’aura di Eliot è “non avere”

L’idea è questa: ciò che distingue il poeta dagli altri esseri umani è il demone della poesia che, nei momenti creativi, gli sta accanto. In altre parole, ci sono due poeti: il poeta e il diavolo. Ecco perché, nella vita normale, un poeta che circola da solo, senza i suoi demoni, può essere visto con occhi non troppo acuti come un uomo simile agli altri. Scrivo io “occhi deboli” deliberatamente; perché chi sa andare oltre le apparenze, non può fare a meno di scoprire qualcosa di anomalo nel poeta, che è appunto una specie di aura, un po’ simile a quella registrata sui sacerdoti in borghese, e la cui lunga affinità con i demoni della poesia non può che Essere. circondarli. Ma l’inquietante originalità di Montale ed Eliot è che quest’aura non appare affatto. Eppure la loro poesia è lì a testimoniare un rapporto quotidiano con il diavolo. Ho scritto che la mia idea è “bifrontale”: ora passiamo al secondo lato. Che tipo di aura ha aggiunto all’aspetto poetico della loro relazione con il diavolo della poesia? Penso che sia un’aura che corrisponde al contenuto della loro poesia e quindi, in un certo modo, indirettamente, l’aura della storia, il suo significato è legato al tempo in cui visse il poeta. Ad esempio, il demone di D’Annunzio avvolge il poeta con un’aura sensuale e retorica, che si addice al suo tempo, di chiacchiere ed erotismo. Satana, d’altra parte, ha dato a Hemingway l’aria sportiva e competitiva per l’America del 1920. Ed Eliot e Montale?

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Stranamente, i rispettivi demoni avevano scelto per entrambi, forse per Montale più che per Eliot, l’aura, per così dire, ne mancava. In altre parole, apparire effettivamente come un uomo comune, senza alcuna aura. Ma a un esame più attento, era anche un’aura; di un poeta che vuole somigliare a qualsiasi cosa, di un poeta che rifiuta l’aura “poetica” che il suo buon demone è pronto a dargli se lo desidera.

Ma questa aura consisteva nel non volerlo, che rapporto aveva con il suo tempo, che aveva conosciuto grandi eventi come le due guerre mondiali e grandi personaggi in quantità, come Hitler, Stalin, Mao, Churchill, Roosevelt? Mi rendo conto qui che la connessione con il loro tempo è più stretta e più sottile di quanto entrambi i poeti avrebbero potuto immaginare.

I demoni che sono stati al loro fianco nei momenti della creazione hanno voluto, nonostante la loro poesia molto chiusa, essere così legati a una sorta di rigorosa sensibilità individuale, da mostrarsi alla luce del giorno, quasi in atti di umiltà. maliziosi, profondamente emulatori nella società di massa, inconsapevolmente responsabili della distruzione del mondo che amano.

Sì, Eliot e Montale non possono non vedere l’esistenza della mafia come un pericolo mortale: da qui, per autodifesa, il loro mimetismo, che è in fondo un modo per stabilire un legame con la mafia stessa, anche se va contro di essa. dei “grandi” personaggi dell’epoca.

Abbiamo bevuto il tè, salutato Eliot e siamo andati a prendere la metropolitana, perché non eravamo ricchi ei taxi erano cari. Così siamo scesi all’inferno, come fanno tutti i veri poeti. Purtroppo l’inferno moderno è la metropolitana, in questo inferno si leggono giornali, si mastica gomma e si fissano sconcertati i manifesti pubblicitari che sfilano sul muro del tunnel, tra le due stazioni. »

© 2023 Edizione del libro

Il titolo è di natura editoriale.

Riccarda Fallaci

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