Giorgia Meloni lancia una nuova fase di decentramento in Italia

La nazionalista e giacobinista Giorgia Meloni sembra pronta a scuotere l’architettura istituzionale italiana, placando le spinte autonome del suo alleato nella coalizione di governo, la Lega Italiana.

Mercoledì il partito guidato dal capo del governo, Fratelli d’Italia, è stato determinante nell’adozione al Senato delle riforme che eliminerebbero varie prerogative dello Stato centrale per garantire tali diritti alle regioni. Il testo sarà presto presentato all’Assemblea nazionale e sarà ratificato, poiché il governo ha la maggioranza dei voti.

L’“autonomia differenziata” è il serpente marino del dibattito istituzionale italiano e il cavallo di battaglia della Lega. Il presidente del Consiglio ha deciso di cavalcarla. L’opposizione protesta contro le riforme che “divideranno ulteriormente il Paese, ampliando il divario tra i paesi ricchi del Nord e quelli poveri del Sud”, ha affermato il Partito Democratico.

Federalismo alla carta

Si tratta di una nuova fase nella tormentata storia dell’Italia, unita per quasi un secolo e mezzo, e in cui le richieste di specificità regionale spesso hanno avuto la precedenza sull’attaccamento alla nazione. Il modello di centralizzazione francese scelto al momento dell’unità nel 1861 continua ad essere messo in discussione.

Nel 1970 furono create venti regioni con poteri rafforzati, le cui competenze talvolta entravano in concorrenza con quelle della regione centrale. Secondo l’articolo 116 della Costituzione, più parti possono avviare trattative per godere di particolari condizioni di autonomia. Cinque Paesi hanno ottenuto lo statuto speciale (Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia-Giulia).

Il testo appena approvato dal Senato spalanca la porta all’“autonomia differenziata”. Fino a ventitré ambiti di competenza possono essere trasferiti alle autorità regionali che lo desiderino. Potranno rivendicare poteri più ampi in termini di servizi pubblici chiave, come la sanità e l’istruzione, l’amministrazione della giustizia, la pace, i benefici sociali o anche la protezione ambientale.

Alla fine potranno beneficiare di una maggiore libertà nell’uso delle risorse finanziarie generate nei loro territori per finanziare l’autonomia che è stata loro delegata.

“Segregazione dei ricchi”

La Lega esulta quando parla di “un passo verso un Paese più moderno ed efficiente”. L’opposizione ha criticato “la segregazione dei ricchi che mina l’unità nazionale creando cittadini di prima classe e altri cittadini di seconda classe”.

I primi beneficiari di queste riforme sono stati Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna, che rappresentavano oltre il 40% del PIL della penisola e oltre il 54% delle esportazioni della penisola. «Si tratta di un’autonomia davvero insolita nel panorama europeo», spiega Luca Bianchi, direttore della Svimez, l’associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno. Ciò cristallizzerà le disparità e indebolirà la competitività di un Paese che è già a due velocità. Le aziende devono fare i conti con differenze di standard a seconda della regione. La perdita economica sarebbe enorme. »

Il governo preferisce pensare ai benefici politici che potranno derivare da queste riforme in occasione delle elezioni regionali di quest’anno, soprattutto in Veneto, e delle elezioni europee di giugno. Matteo Salvini, il leader della Lega, spera di riconquistare la popolarità perduta nella sua roccaforte del nord. Giorgia Meloni ha voluto assicurarsi che i suoi alleati la ringraziassero sostenendo un progetto di riforma costituzionale che prevedeva l’elezione del presidente del Consiglio tramite suffragio universale diretto.

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