Aglaia Pappa: “Siamo antiquari, ma non amiamo il nostro passato”

Tragedia di alto livello, attrice e insegnante, quest’anno ha assunto la direzione del Laboratorio Internazionale sul Dramma Antico organizzato dal Teatro Nazionale per il sesto anno consecutivo a Epidauro, decisa ad avvicinarsi all'”Ifigenia alla corte” di Euripide non da giovane ragazza che si è sacrificata, ma come ciò che “offre” contro un potere corrotto…

Il concetto di “offerta” e non di “sacrificio” è stato proposto come essenza dell'”Ifigenia in Aulidis” di Euripide di Aglaia Pappa, quando si preparava al Laboratorio Internazionale del Dramma Antico organizzato dal Teatro Nazionale per sei anni consecutivi, quest’anno formalizzando la collaborazione con il Comune di Epidauro. E questa volta a Lygourio, dall’11 al 25 luglio, i Laboratori, solitamente frequentati da giovani, studenti delle scuole di recitazione, ma anche attori professionisti, registi, coreografi provenienti da tutto il mondo, saranno autodiretti con la collaborazione di attrici e docenti italiane della Scuola Ronconi del Piccolo Teatro, Diana Manea.

Ultimo tragico. Un attore colto, che è stato identificato principalmente con la grande opera teatrale internazionale e l’impronta di Theodoros Terzopoulos, sebbene abbia collaborato di tanto in tanto con Jacques Lassalle, Anatoly Vassilief, Claudio Longhi, Michalis Kakogianni, Lefteris Vogiatzis, Dimitris Oikonomou, Yiannis Houvardas, Michael Marmarinos, Stathis Livathinos, Stavros Tsakiris, Elli Papaconstantinou, Angela Bruscous et al.

Docente di Recitazione e Regia alla Scuola Nazionale d’Arte Drammatica (dove, sì, ha resistito a tutte le “tempeste” quest’anno causate dal Pd) e visiting professor, sia alla Scuola “Luca Ronconi” del Piccolo Teatro di Milano, sia al Scuola Nazionale di Teatro d’Arte dell’Emilia-Romagna “Iolanda Gazzero”.

Quest’anno, inoltre, Aglaia Pappa sta uscendo da una stagione molto creativa, in cui ha interpretato “Ekavi” nell’innovativo e orecchiabilissimo “Troades” di Violet Louise, recitando al fianco di Sophia Hill nell’elettrizzante “Requiem” di Terzopoulos e contemporaneamente completando un ciclo didattico intensivo per gli allievi del Piccolo Teatro nell’“Aedan” di Sofocle. Insomma, è la persona giusta al posto giusto, anche se sottolinea “quanti degni colleghi hanno preceduto il Workshop dal ’16”, riferendosi a Lydia Koniordou, Michael Marmarinos, Katerina Evagelatos, Thodori Ambazi, Thanos Papakonstantinou.

Ma perché ha scelto di insegnare “Ifigenia in Avlidis” in Bottega e soprattutto perché ha detto che questa era una volta un’opera che “ho frainteso, non mi piace…”

“Penso”, spiega, “che sia un progetto con molti riferimenti ‘nazionalisti'”. Inoltre non mi piace perché alla protagonista femminile piace molto. Tuttavia, tre anni fa, durante la pandemia, i bambini della Scuola “Iolanda Gazzero” della Scuola Nazionale Italiana mi hanno chiesto il seminario che ho tenuto loro su “Ifigenia in Avlidis”. Quindi sono stato costretto a studiare a fondo il lavoro. E ho scoperto, con mia sorpresa, quanto mi sbagliavo. Questo è un testo sublime e senza tempo, che parla di tutte le forme di potere e di quanto siano corrotte e di quanto ci voglia, finalmente, qualcuno, una ragazzina del resto, disinteressata, innocente, per offrirsi – e non “sacrificio” ” – per salvare la situazione”.

L’enfasi sull'”offerta” è chiaramente al centro del prossimo insegnamento, ma come dice “ciò che determina in primo luogo il modo in cui lavoro è il ‘tipo di’ contesto in cui si trova questa tragedia. Non tutti i progetti sono uguali. Bisogna sapere quale “genere” e quali leggi naturali governano l’opera per poter parlare del suo trattamento organico-fisiologico. Altrimenti faremo tutte le tragedie allo stesso modo”.

Ma quali sono gli “strumenti” di Aglaia Pappa nel suo cammino verso l’essenza di “Ifigenia in Avlidis”? “Tradizione”. Intendo studi che sono stati fatti da persone di teatro molto serie nel corso degli anni. Tutti i paesi che hanno un grande teatro (Inghilterra, Germania, Italia, ecc.) rispettano questa tradizione. Purtroppo abbiamo la tendenza, anche se siamo antiquati (cioè compiacenti di fronte a momenti straordinari), a non amare il nostro passato, ma invece a distruggerlo. Mostra nelle nostre città, edifici, strade, la nostra vita quotidiana. Non rispettiamo lo sforzo fatto da qualcuno che è venuto prima e non prendiamo il filo da lì per continuarlo. E questo è anche un problema della nostra educazione”.

Se dunque la “tradizione” nello studio delle opere è uno dei suoi strumenti, un altro è un’enfatica ammissione: “La maggior parte di noi usa termini psicologici, avvicinandosi al dramma antico, ma questo è teatro puramente politico. Del resto, il dialogo stesso come base del teatro è azione politica”, ha spiegato.

Inoltre, ha esperienza di contatto e comunicazione con studenti e giovani creatori, prima e dopo la pandemia. Perché è necessaria una tale distinzione? “E per gli studenti italiani, ma anche per i nostri ragazzi della Scuola Nazionale, che hanno vissuto due quarantene e grande astinenza dagli studi, a causa delle loro proteste, l’esperienza ha lasciato il segno. E a noi, ovviamente. Tutti noi, a livello globale, abbiamo sperimentato un crollo nella nostra struttura interna – e non ne parliamo affatto. Ma noi siamo adulti, mentre i bambini sono tutto”.

Alberta Trevisan

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